L’ultimo report Women in Business 2020 di Grant Thornton International, una delle principali società di consulenza al mondo, ha raccolto le risposte di 10mila leader aziendali in 32 paesi. Tra i dati evidenziati dallo studio, c’è quello delle donne CEO: sono aumentate del 5%, arrivando nel mondo al 20% rispetto al 15% del 2019. I risultati dell’indagine rivelano che l’87% delle imprese ha almeno una donna nel senior management, mentre il 78% delle aziende del mercato medio sta lavorando attivamente al proprio equilibrio di genere. Buono anche il dato italiano: le posizioni di CEO occupate dalle donne nel 2020 hanno raggiunto il 23%, andando oltre il dato medio globale e registrando un importante aumento rispetto al 2019 (15%).

Ma il dato che sorprende di più è che le aree con il maggior tasso di donne in posizioni senior sono l’Africa, l’Asia e l’America Latina. Il vecchio mondo, dunque, e la patria del capitalismo mondiale, gli Usa, sono stati sorpassati da paesi in via di sviluppo che hanno visto crescere il numero di donne al potere grazie a politiche inclusive dirette o indirette.  Esempi del primo tipo sono le norme che, combattendo la violenza familiare, facilitano l’accesso delle donne a superiori livelli scolastici, portate avanti ad esempio in Sudafrica e Rwanda. Norme dirette, sono quelle invece tese ad aumentare direttamente l’aumento del numero di donne in ruoli chiave, come nel caso delle Filippine, dove una norma specifica ha imposto una sorta di rating superiore alle società con maggior presenza di donne. Ciò testimonia come politiche mirate possano essere determinanti nel superamento del gap tra sessi. 

I ruoli delle donne al potere nella società italiana

Ma quali sono i settori in Italia in cui c’è maggior presenza di donne manager? Spiccano, nel settore manifatturiero, i nomi di Emma Marcegaglia leader dell’omonima industria attiva nel settore dell’acciaio, già presidente di Confindustria, e quello di Massimiliana Landini Aleotti, leader del noto gruppo farmaceutico Menarini e numero uno delle imprenditrici italiane, che compare nell’edizione 2019 della celebre classifica del magazine Forbes dedicata ai paperoni dell’economia mondiale con un patrimonio di oltre 10 miliardi di euro e che a 73 anni gestisce assieme ai figli uno dei maggiori gruppi farmaceutici, con sedi in diversi paesi e oltre 16mila dipendenti. 

Ma è soprattutto nei settori della cura alla persona, della sanità e dell’assistenza sociale che le donne spiccano. Qui, infatti, le donne manager sono quasi il 50%. Seguono i settori della moda, dell’ospitalità e del turismo, in cui le donne manager sono il 30% del totale. Su tutte spicca il nome di Miuccia Prada, patron dell’omonima maison di alta moda. Creativa e sperimentatrice, prima ancora che imprenditrice di successo, è stata insignita del dottorato onorario al Royal College of Art nel 2000; è Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e nel 2016 ha ottenuto il premio Woman of the Year insignito da Glamour. Nel 2018 è stata inserita nell’elenco di Forbes dei miliardari nel mondo con un patrimonio stimato di 3.2 miliardi, rappresentando il made in Italy nell’élite della moda internazionale. Tra le imprenditrici di successo in un ambito completamente nuovo, vi è l’influencer Chiara Ferragni, che non rappresenta solo un fenomeno mediatico. È, infatti, un’imprenditrice digitale a capo di un’azienda dal fatturato stimato di oltre 15 milioni di euro, grazie al suo brand, all’attività del portale The Blonde Salad e, ovviamente, alle campagne pubblicitarie sui social e sui principali media. Il suo percorso è estremamente interessante perché rappresenta appieno l’evoluzione delle cosiddette “nuove professioni digitali” anche nel panorama italiano. 

Il panorama imprenditoriale italiano femminile è dunque di sicuro rilievo. Non si può dire altrettanto se si passa al confronto salariale. Infatti solo 4 donne si trovano in Italia tra i primi 100 manager più pagati ed un solo manager uomo tra i primi tre guadagna quanto le prime dieci manager donne messe insieme. Oltre ad un minore salario di partenza, incidono sulla disparità di genere altri fattori: l’assistenza all’infanzia a prezzi non accessibili, orari poco flessibili di lavoro e diritti alla maternità spesso negati, nonché mancanza di politiche aziendali che vadano incontro alle madri che lavorano. 

Un paese che non pianifica un sistema che favorisca l’accesso di donne nei ruoli apicali è un paese destinato a perdere grandi opportunità.

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