Sfogliando un numero della Gazzetta dello Sport alla ricerca delle ultime notizie sullo sport femminile, ci si rende immediatamente conto che, su circa 50 pagine di quotidiano, le uniche due dedicate allo sport femminile sono pagina 44 e 45 che hanno come protagonista la campionessa Federica Pellegrini. 

Eppure in Italia le atlete rappresentano il 28,2% del totale e lo sport femminile è in crescita. I mondiali di calcio femminile del 2019, vinti dalle atlete statunitensi, sono state un successo di pubblico ed hanno evidenziato le capacità tecniche ed atletiche delle campionesse di questo sport, in Italia completamente ignorate dai più fino a quel momento.

La lunga marcia verso la parità è ben lontana dall’essere giunta a conclusione.

Una prima importante tappa, ritornata alla ribalta delle cronache di recente con il film “La battaglia dei sessi” del 2017, fu l’incontro di tennis del 20 settembre 1973 tra Billie Jean King e Bobby Riggs, con il quale la King volle dimostrare che il tennis femminile non era da meno rispetto a quello maschile e che le differenze salariali erano dovute solo ad un atteggiamento discriminatorio.  

L’incontro tenne inchiodati alla televisione 90 milioni di spettatori nel mondo e la King vinse 3 a 0. La battaglia ha dato i suoi frutti nel tempo ed oggi i principali tornei di tennis, Wimbledon su tutti, vedono il montepremi ripartito in parti uguali tra uomini e donne. 

In molti altri sport, considerati maschili, le cose sono, però, molto diverse. In alcune discipline le donne hanno addirittura faticato ad avere accesso alle olimpiadi.

Solo nel 1984 sono state ammesse nella disciplina della maratona, nel 2000 nel salto con l’asta e solo nel 2008 nella corsa dei 3000 siepi. 

Nel calcio, la fortissima nazionale di calcio statunitense, che nelle ultime due finali mondiali vinte ha tenuto inchiodato quasi trenta milioni di telespettatori, non è riuscita ad ottenere l’equiparazione salariale alla squadra maschile, il cui rilievo sportivo relativo è decisamente inferiore. Le calciatrici statunitensi avevano chiesto un risarcimento di oltre 66 milioni di dollari alla U.S. Soccer Federation. Le quattro giocatrici più rappresentative, Hope Solo, Megan Rapinoe, Carli Lloyd ed Alex Morgan, in rappresentanza di tutte le 28 componenti della nazionale, hanno contestato il diverso trattamento che la federazione riserva i colleghi maschi. Se le donne hanno un premio di 5.000 dollari a partita vinta, lo stesso sale a tredicimila per i colleghi dell’altro sesso. A ragione le atlete hanno dichiarato “Siamo le migliori, abbiamo vinto tanto, ma la nazionale maschile viene pagata di più. Siamo stati il motore di questo sport negli Stati Uniti”. Nonostante ciò, il giudice di Los Angeles, Gary Klausner, con una sentenza di 32 pagine ha respinto il ricorso. 

Le sportive professioniste in Italia

In Italia la corsa verso il professionismo dello sport femminile è appena iniziata. Un emendamento alle legge di bilancio del 2019 ha equiparato i contratti delle professioniste femminili a quelli maschili, e ciò dovrebbe avere una importante ricaduta, non tanto sul piano salariale, ma su quello delle tutele contrattuali e contributive. L’Italia era l’unica nazione tra le 8 finaliste ai mondiali del 2019 a vedere le sue atlete partecipare con lo status di dilettanti. La legge, seppur con ritardo, chiude questo ulteriore gap favorendo il passaggio al professionismo con l’esenzione contributiva per tre anni a quelle società che sottoscriveranno con le calciatrici un contratto da professioniste. Bisognerà poi valutare i concreti effetti di tale provvedimento.

Anche sul piano del governo dello Sport si fanno lenti passi in avanti. Le dirigenti federali sono ancora solo il 12% del totale ed in generale i ruoli direttivi nel mondo dello sport vedono una presenza femminile, in Italia del 15%, mentre nei ruoli tecnici vi è una donna su cinque.  La buona notizia è che la giunta del Coni, il Comitato Olimpico nazionale, si è arricchita della presenza delle campionesse olimpiche Fiona May (salto in lungo), Alessandra Sensini (vela) e della campionessa nel tiro alla carabina Valentina Turisini.

Piccoli e lenti i passi, come si può notare, nella direzione della parità di genere in ambito sportivo, ma sicuramente non indifferenti. È dunque essenziale non distogliere lo sguardo da questo contesto, non considerarlo di secondo piano e continuare a lottare per l’uguaglianza tra sportive e sportivi. 

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