Anche se il principio di parità di retribuzione per lavori di pari valore venne introdotto già nel Trattato di Roma nel 1957, il cosiddetto “divario retributivo” o gender gap purtroppo persiste, con miglioramenti marginali raggiunti negli ultimi dieci anni. 

Le donne lavoratrici nell’UE guadagnano in media 16% in meno all’ora rispetto agli uomini, mentre, secondo uno studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro, le donne in media guadagnano il 20 per cento in meno rispetto agli uomini. 

In Italia il gap retributivo tra uomini e donne sembrerebbe molto inferiore, pari solo al 4%, ben al di sotto della media europea. Il dato, però, non tiene conto di una serie di fattori che lo qualificano meglio rendendolo meno positivo di come sembri. In primo  luogo, infatti, c’è da sottolineare come il tasso di occupazione femminile sia drammaticamente inferiore alla media europea. L’Italia è infatti ultima, con un tasso di occupazione del 56,2 per cento nel 2019, contro il 75 per cento degli uomini. La Svezia, prima per tasso di occupazione in Europa, supera l’80 per cento. 

C’è, inoltre da sottolineare come il gender gap è reso piuttosto basso in Italia a causa dell’ampia presenza di donne nel settore pubblico. Nel segmento privato il gap, infatti, raddoppia rispetto alla media nazionale con punte nelle regioni del Centro-Nord, dove aumenta il tasso di occupazione femminile, per arrivare inspiegabilmente al 23 per cento tra i manager, quasi come se l’apporto delle donne fosse inferiore.

Ma il dato italiano diviene letteralmente drammatico se si considerano i liberi professionisti.

L’Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati) e la Confprofessioni, all’interno dei rispettivi rapporti annuali che fotografano il mondo delle libere professioni, evidenzia come tra i liberi professionisti il divario retributivo arrivi ad un drammatico 45%. Il gap maggiore – spiega il Rapporto di Confprofessioni – lo registrano i notai, i commercialisti e i biologi; tale differenza si riduce se si guarda alle professioni quali gli infermieri, giornalisti e pubblicisti e gli agrotecnici e i periti agrari.

Certamente una delle ragioni che vedono le professioniste maggiormente penalizzate rispetto alle dipendenti è da collegarsi alle minori tutele, in termini di accesso alla maternità e permessi familiari che, se consentono ai dipendenti di coniugare attività lavorativa ed impegni familiari, penalizzano invece drasticamente le professioniste che spesso devono scegliere tra professione e successo professionale. Le donne per poter esprimere il loro potenziale, dovendo in pratica svolgere due lavori, quello professionale e quello in casa, vanno necessariamente supportate da infrastrutture e servizi di supporto. 

Il divario retributivo in Europa

Il Parlamento Europeo, proprio per andare nella direzione auspicata dell’annullamento del gender gap, ha sollecitato con una istanza la Commissione europea a proporre misure vincolanti sul divario retributivo di genere e sulla trasparenza retributiva, sia nel settore pubblico che in quello privato.

È necessario dunque che vengano posti obiettivi chiari per gli stati membri per ridurre il divario retributivo di genere nei prossimi anni, che vengano fatti investimenti nell’istruzione primaria e servizi di assistenza, come anche in accordi di lavoro che tengano conto dei bisogni familiari per garantire una partecipazione equa delle donne al mercato del lavoro. 

Per fare luce su questa problematica è stato inoltre istituito dall’Unione Europea l’Equal Pay Day, una giornata per segnare il momento in cui ogni anno le donne iniziano simbolicamente a smettere di guadagnare se confrontate con i loro colleghi a parità di mansioni. Quest’anno è caduto il 4 novembre, il che significa che in Europa le donne, essendo pagate in media il 16% in meno rispetto ai colleghi uomini, svolgono circa due mesi di lavoro non retribuito. 

Ci si augura dunque che le disparità economiche tra uomini e donne vengano al più presto colmate e ciò non solo nell’interesse delle donne. Le statistiche dimostrano infatti che la parità dei salari ed un pieno inserimento delle donne nel mondo del lavoro possa migliorare la condizione complessiva della società e determinare una crescita del prodotto interno lordo. Un minore gender gap nelle aziende aumenterebbe produttività e fatturato, riducendo infortuni e assenteismo e migliorando le condizione psico-fisiche dei lavoratori. L’equilibrio di genere nelle aziende apporta vantaggi concreti anche in termini di performance generale e pertanto risulta essenziale, ma si tratta di una trasformazione culturale che richiede consapevolezza e determinazione e che purtroppo non tutti sono ancora propensi a compiere.

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